- Biagianti 1985
Ivo Biagianti, La soppressione dei conventi nell’età napoleonica, in La Toscana nell’età rivoluzionaria e napoleonica, a cura di Ivan Tognarini, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1985, pp. 443-69. - Rossi 1998
Marielisa Rossi, Sulle tracce delle biblioteche: i cataloghi e gli inventari (1808-1819) della soppressione e del ripristino dei conventi in Toscana. Parte prima, «Culture del testo», IV, 1998, n. 2, pp. 85-123. - Rossi 2000
Marielisa Rossi, Sulle tracce delle biblioteche: i cataloghi e gli inventari (1808-1819) della soppressione e del ripristino dei conventi in Toscana. Parte seconda, «Culture del testo e del documento», I, 2000, n. 2, pp. 109-145.
Origine e sviluppo della Biblioteca Magliabechiana
- Antonio Magliabechi nella Firenze tra XVII e XVIII secolo
- La Fondazione della Biblioteca Magliabechiana
- La Biblioteca Mediceo Palatina Lotaringia
- Le Soppressioni conventuali
- L’Unione con la Biblioteca Palatina
- Le Raccolte librarie scientifiche della Palatina
Le informazioni sulla storia della Biblioteca sono tratte dal volume:
1861/2011: l’Italia unita e la sua Biblioteca, Firenze, Polistampa, 2011 (Catalogo della Mostra tenuta a Firenze nel 2011-2012)
Antonio Magliabechi nella Firenze tra XVII e XVIII secolo
Una serie di favorevoli circostanze aveva permesso che nel XVII secolo si formassero a Firenze – città di circa 75.000 abitanti, come Bologna e Genova – un elevato numero di raccolte librarie in mano a privati, religiosi e, naturalmente, alla casa Medici, regnante sul Granducato.
In questo quadro si inserisce l’importante opera di Antonio Magliabechi (DBI v. 67) che, per il suo impegno come bibliotecario dei principi Francesco Maria e del Cardinale Leopoldo, e per personale interesse verso la sua propria raccolta (composta di 30.000 volumi), fu al centro di una fitta trama di rapporti con eruditi e librai di tutta Europa che permise a lui e poi alla città (a cui lasciò i suoi libri) di allineare negli scaffali della sua biblioteca gran parte della produzione europea tra XVII e XVIII secolo. Lo studio della sua corrispondenza permette di illuminare la storia libraria non solo di Firenze ma di tutta la penisola.
E’ lo stesso Antonio Magliabechi (Mirto 1994) a fornirci precise informazioni sulle biblioteche private fiorentine con un suo testo autografo conservato nel Ms Magliabechiano Cl. X, 63, dove elenca 28 raccolte librarie a cominciare da quelle del Granduca Cosimo III e del Principe Cardinale Leopoldo (a cui si deve aggiungere la biblioteca Mediceo Laurenziana) per passare poi ad elencare quelle di importanti famiglie e personaggi fiorentini (ad esempio Dati, Doni, Riccardi, Panciatichi, Guadagni, Capponi) che confluiranno poi in gran parte in quelle che oggi sono le biblioteche pubbliche della città; si devono poi ricordare, perché non comprese nella lista, almeno le importanti raccolte Gaddi e Strozzi, che in gran parte perverranno alla Magliabechiana dopo la morte del Magliabechi stesso.
Per aver un quadro completo delle biblioteche fiorentine occorre menzionare anche le importantissime biblioteche ecclesiastiche (come la Biblioteca Edili dei Canonici di Santa Maria del Fiore) e quelle dei conventi e dei monasteri (tra le tante quelle dei benedettini della Badia di Santa Maria, dei camaldolesi di Santa Maria degli Angeli, dei minori conventuali di Santa Croce, dei domenicani di San Marco e di Santa Maria Novella, degli agostiniani di Santo Spirito, dei minori riformati di Ognissanti e di San Salvatore al Monte, dei Teatini di San Michele e Gaetano) che mantenevano alte le possibilità di studio e di ricerca in città.
Un altro aspetto importante del panorama delle raccolte bibliografiche cittadine è dato dal risvegliarsi nella seconda metà del XVII secolo della ricerca erudita dovuta soprattutto ai gesuiti Bollandisti (Battistini 1942-1943) e ai benedettini Maurini di San-Germain-de-Prés (Mabillon, Germane, Mountfaucon), oltre al bibliotecario e filosofo tedesco Leibniz, che nei viaggi alla ricerca dei documenti facevano di Firenze in particolare, e del Granducato in generale, una tappa essenziale. A questo proposito il Magliabechi è un punto di riferimento essenziale per i dotti viaggiatori transalpini, e non solo per la sua grande competenza sui libri ma per le sue conoscenze e le relazioni con dotti e librai italiani ed europei che permisero di costituire in Firenze una rete di informazioni che ebbe riflessi sul suo patrimonio librario e su quello della città. La biblioteca è lo specchio di questi rapporti e allo scambio delle informazioni seguiva spesso quello di volumi a volte preziosi ed unici, ancora oggi patrimonio del nostro Istituto. Percorrere la corrispondenza di Magliabechi (conservata in Nazionale) permette di rendersi conto dei numerosi interessi dei corrispondenti e degli scambi di informazioni bibliografiche; è il caso di Lodovico Muratori, le cui lettere sono una preziosa fonte di consigli e suggerimenti (Dupront 1976; Totaro 1993). Sembra quindi evidente come la costruzione “bibliografica” della raccolta sia dovuta, oltre che all’impegno e alle personali conoscenze del raccoglitore, anche all’uso costante ed appropriato delle informazioni, dei canali del commercio librario e della rete di acquisti e scambi.
Con la morte di Magliabechi la sua raccolta passa alla città e dunque la vicenda deve essere inquadrata nella storia delle biblioteche della penisola che si costituiscono tra la seconda metà del ‘600 e i primi anni secolo successivo, fin troppo note per esser qui ricordate. Di fatto è essenziale annotare che la Magliabechiana, come la Marucelliana, aperta qualche anno dopo, è costituita “ad uso dei poveri” dove con l’aggettivo si intende una fascia di studiosi che rientrava tra i poveri “vergognosi” e che dunque aveva necessità di ricorrere, oltre ai libri che si possedevano tra le mura domestiche per i più vari motivi come la devozione, la professione, il piacere di conoscere, il patrimonio ereditato, ad altre raccolte più provviste di testi, a quelli più rari e costosi conservati dalle raccolte pubbliche. Ma il pensare al bene dei poveri, che rientrava nelle cristiane opere di misericordia, si aggiunge certo ai cambiamenti che avvengono tra XVII e XVIII secolo nella lettura, nel possesso di strumenti della cultura e nel rifiorire delle Accademie e degli studi (Chapron 2009¹).
Compito dei successori di Magliabechi sarà, nel suo leggendario “disordine” – dove solo lui sapeva orientarsi – quello di provvedere, con una lunga operazione condotta tra i tesori raccolti, all’ordinamento e alla catalogazione che renderà la raccolta fruibile alla collettività.
Bibliografia:
- Battistini 1942-1943
Mario Battistini, Antonio Magliabechi e la sua collaborazione all’Opera Bollandiana. Nel terzo centenario degli Acta sanctorum, Wetteren, De Meester, 1942-1943. - Chapron 2009¹
Emmanuelle Chapron, “Ad utilità pubblica”. Politique des bibliothèques et pratique du livre à Florence au XVIIIe siècle, Genève, Librairie Droz, 2009. - DBI
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1960- - Dupront 1976
Alphonse Dupront, L. A. Muratori et la société européenne des pré-lumières, Firenze, Olschki, 1976. - Mirto 1994
Alfonso Mirto, Stampatori, editori, librai nella seconda metà del seicento. Parte seconda, i grandi fornitori di Antonio Magliabechi e della corte medicea, Firenze, Centro editoriale toscano, 1994. - Totaro 1993
Giuseppina Totaro, Antonio Magliabechi e i libri, in Bibliothecae selectae, da Cusano a Leopardi.. Firenze, Olschki, 1993, pp. 550-558
La Fondazione della Biblioteca Magliabechiana
Le origini dell’attuale Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze risalgono al lontano 26 maggio 1714, quando l’erudito e bibliomane, nonché bibliotecario di casa Medici, Antonio Magliabechi (DBI v. 67 ), ormai sul letto di morte, dichiara al notaio Giovanni Evangelista Miccinesi la volontà di lasciare i suoi beni, che consistevano soprattutto in una eccezionale raccolta libraria di circa 30.000 volumi, ai poveri della città di Firenze, allo scopo di formare “una publica Libreria a benefizio universale della città”(testamento pubblicato in Mannelli Goggioli 2000). Come primi bibliotecari Magliabechi nomina i suoi esecutori testamentari, il cavalier Anton Francesco Marmi (DBI v. 70), suo amico e confidente, e il biscugino Lorenzo Comparini, dottore in legge. Un simile istituto, aperto liberamente a tutti e di carattere generale per poter servire ad una vasta area di lettori, mancava ancora a Firenze; sotto quest’aspetto la situazione complessiva del Granducato all’inizio del XVIII secolo risultava in notevole ritardo rispetto ad altre realtà italiane. Il bibliotecario fiorentino aveva impiegato tutto il tempo e il denaro di una vita condotta miseramente per soddisfare la sua unica necessità: accumulare libri e vivere in mezzo ad essi in modo da distinguersi all’interno della società degli eruditi per la sua sterminata conoscenza bibliografica. Senza eredi a cui lasciare l’amata raccolta, dopo molte pressioni perché ne disponesse a vantaggio della città, si decide infine a questo passo, ma malgrado le sue dettagliate disposizioni testamentarie occorreranno molti anni per l’apertura della biblioteca. Le difficoltà – di carattere economico e normativo per la trasformazione di una raccolta privata in una biblioteca pubblica – videro una svolta con i provvedimenti del granduca Gian Gastone: il giorno di Natale del 1736 l’ultimo dei Medici emana tre leggi riguardanti la Magliabechiana che risultano fondamentali per le sorti della Biblioteca e per la natura pubblica dell’istituto; per questo a buon diritto esse vanno ricordate, assieme al testamento Magliabechi, come i documenti istitutivi della biblioteca fiorentina. Nel primo motuproprio si dispone che il Magistrato Supremo, organo istituzionale fra i più importanti, prenda possesso a nome del Pubblico di Firenze della libreria di Antonio Magliabechi e del legato dei libri di Anton Francesco Marmi, il quale aveva disposto nel suo testamento il lascito dei propri libri alla Magliabechiana a condizione che la biblioteca non fosse retta da religiosi, ponendo così le basi della natura laica dell’istituto. Viene inoltre incaricato il medico e bibliografo Antonio Cocchi (DBI v. 26; Antonio Cocchi 2008) di stendere l’inventario di tutti i libri della biblioteca, sui quali si dovrà apporre il sigillo del Pubblico di Firenze; per aumentarne il posseduto le tipografie della città dovranno consegnarle una copia di ciò che stampano. Col secondo motuproprio si nomina soprintendente il marchese Carlo Rinuccini, uno degli uomini più potenti della corte medicea, e col terzo Lorenzo Comparini come bibliotecario. Le provvidenze del Granduca non si fermano all’aspetto giuridico ma entrano nell’aspetto economico, donando i locali che ospitavano la libreria, estinguendo i debiti con la Dogana, che ne era proprietaria, e costruendo una scala di accesso dal loggiato degli Uffizi. Il 5 gennaio 1737, con cerimonia solenne, alla presenza di un notaio, il cancelliere del Magistrato Supremo prende possesso della Libreria e la consegna al bibliotecario, che ha l’incarico di custodirla. E’ un passo importante, col quale si vuole ribadire che la proprietà dell’istituto appartiene alla comunità e che è per l’utilità di questa che il sovrano interviene nella gestione dell’eredità Magliabechi. Anche forzando la volontà del testatore: con l’accettazione del lascito del Marmi, che lo vincolava alla gestione laica della biblioteca, si contravviene alle disposizioni del Magliabechi, che prevedeva i domenicani come futuri custodi della sua biblioteca. Lo si fece intenzionalmente, come si evince dal seguente passo della relazione del 1739 al Consiglio di Reggenza del ministro Giulio Rucellai, segretario della Giurisdizione Ecclesiastica: “Dopo la morte del Cav. Marmi fu necessaria la deroga del Serenissimo Granduca al testamento Magliabechi per assicurare la Libreria e acciò si salvasse il diritto del Pubblico; ma perché si potesse sostenere il fatto senza entrare in imbarazzi con li ecclesiastici si credé necessario che S.A.R. vi spendesse del proprio e vi aggregasse delle cose di diversa natura, perché queste col progresso del tempo assorbissero anco il rimanente….Con istesso scopo nei citati motupropri si pensò a far dare un esemplare dei libri che si stampano in Firenze alla pubblica Libreria all’esempio di Venezia e di altri luoghi” (BNCF, Arch. Magl. F. VIII, II, cc. 10r-29r). Il giovane ministro, al quale in precedenza il Marmi aveva inviato una supplica di aiuto per la Magliabechiana suggerendo i provvedimenti poi adottati dal Granduca, è probabilmente l’artefice delle disposizioni di Gian Gastone e della strategia che le ha provocate, e cioè sottrarre agli ecclesiastici la guida di quello che diverrà il più importante istituto culturale della città. I domenicani reclameranno invano la conduzione della biblioteca dopo la morte di Comparini: nel 1739 fu nominato bibliotecario il giovane medico e naturalista Giovanni Targioni Tozzetti (Arrigoni 1987), che per i successivi 46 anni rimarrà alla guida dell’Istituto. Che si chiamerà Libreria Pubblica (e non Biblioteca Magliabechiana, appellativo che tuttavia le rimarrà comunemente) e che avrà come timbro di possesso l’iris, fiore simbolo di Firenze, con la legenda “Publicae Florentinae Bibliotecae”. I lavori di allestimento e di catalogazione durarono 10 anni: la biblioteca si aprirà il 3 gennaio 1747 nei locali che avevano precedentemente ospitato un teatro per commedie, contigui agli Uffizi, riadattati su progetto di Giovan Battista Foggini ed affrescati da Rinaldo Botti (Mannelli Goggioli 2001). I volumi furono suddivisi secondo uno schema di classificazione ideato dal Cocchi, che si ispirò al filosofo inglese John Locke (Mannelli Goggioli 1996 e 2008); la redazione dei cataloghi fu affidata al Targioni Tozzetti. Fu un grande lavoro bibliografico, compiuto negli anni 1737-47, che vide la preminenza assoluta del criterio sistematico voluto dal Cocchi: furono ordinati per classi i 12 volumi del catalogo degli stampati (BNCF, Cataloghi antichi, str. 1-12, ex. Magl. X.20), accompagnato da scarni indici alfabetici per autori (ibidem, str. 18-19), per classi i 4 volumi dei manoscritti (ibidem, str. 13-16, ex. Magl. X.21); quest’ultimo sostituito nell’uso in biblioteca da un altro catalogo compilato dal Targioni, in undici volumi sempre in ordine di classi (BNCF, Sala mss, Cataloghi 45). Più tardo, redatto sul finire del XVIII secolo ma ancora in ordine sistematico, il catalogo degli incunaboli (Innocenti 1984, n. 185), accompagnato da un repertorio alfabetico (Innocenti 1984, n. 103). Il criterio classificatorio fu usato anche come base per la collocazione fisica dei volumi, conciliandolo però con quello per formato, per ovvi motivi di risparmio di spazio; il cartellino sul dorso indicava con numero romano la classe, le lettere iniziali del cognome dell’autore e, più in basso, un numero arabo indicante il palchetto in cui era sistemato in base al formato (vicende, documenti e cataloghi in Mannelli Goggioli 2000).
Per una valutazione bibliografica del patrimonio librario della biblioteca, va detto che se questo è grandioso per quanto riguarda la parte antica, derivante dai fondi Magliabechi e Marmi, risulta però limitato negli incrementi successivi. Del resto, la Magliabechiana era nata povera; subito insufficienti le poche rendite dell’eredità Magliabechi, l’istituto si resse grazie agli interventi dei sovrani: dopo le provvidenze di Gian Gastone, i Lorena da Francesco Stefano in poi – fondamentale la legge sulla stampa del 1743 con cui si estese a tutto il Granducato l’obbligo della consegna alla biblioteca pubblica (Landi 2000) – pensarono al suo sostentamento, anche se la politica adottata rispose a criteri di risparmio; piuttosto che dotare la biblioteca di fondi per nuovi libri, si preferì ampliarla con doni o acquisti di piccole o grandi librerie private e destinandole le raccolte provenienti dalle soppressioni conventuali (Mannelli Goggioli 2009). In questo campo la munificenza lorenese si concentrò sulla Magliabechiana volendo così garantirne e valorizzarne il ruolo pubblico.
Bibliografia:
- Antonio Cocchi 2008
Antonio Cocchi mugellano (1695-1758). Scienza, deontologia, cultura. Atti del Congresso, Borgo San Lorenzo, 10-11 ottobre 2008, a cura di Donatella Lippi e Andrea A. Conti, Firenze, Centro stampa del Consiglio regionale della Toscana, 2008. - Arrigoni 1987
Tiziano Arrigoni, Uno scienziato nella Toscana del Settecento: Giovanni Targioni Tozzetti, Firenze, Gonnelli, 1987. - DBI
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1960- - Innocenti 1984
Piero Innocenti, Stratigrafia dei cataloghi: procedure di de stratificazione del maggior nucleo italiano di manoscritti e libri antichi, in «Il bosco e gli alberi», I, Firenze, Giunta regionale toscana, La Nuova Italia, 1984, pp. 295-523. - Landi 2000
Sandro Landi, Il governo delle opinioni, Bologna, Il mulino, 2000. - Mannelli Goggioli 1996
Maria Mannelli Goggioli, Uno scienziato per ordinare la libreria del Magliabechi: Antonio Cocchi e la classificazione della Magliabechiana. Dalla teoria all’organizzazione della biblioteca, «Culture del testo», 1996, n. 6, settembre-dicembre, pp. 43-93. - Mannelli Goggioli 2000
Maria Mannelli Goggioli, La Biblioteca Magliabechiana. Libri, uomini, idee per la prima biblioteca pubblica a Firenze, Firenze Olschki, 2000. - Mannelli Goggioli 2001
Maria Mannelli Goggioli, Il Salone Magliabechiano agli Uffizi, antica sede della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, in Cesare Bazzani e la Biblioteca nazionale centrale di Firenze (1873-1939): atti delle giornate di studio, Firenze, Tribuna Dantesca della Biblioteca nazionale centrale, 20-21 novembre 1997: nuovi studi e documenti, a cura di Ferruccio Canali e Virgilio Galati, Firenze, BT, 2001, pp. 85-94. - Mannelli Goggioli 2008
Maria Mannelli Goggioli, Antonio Cocchi e la classificazione della Biblioteca Magliabechiana: da Pitagora a Locke, in Antonio Cocchi mugellano (1695-1758). Scienza, deontologia, cultura. Atti del Congresso, Borgo San Lorenzo, 10-11 ottobre 2008, a cura di Donatella Lippi e Andrea A. Conti, Firenze, Centro stampa del Consiglio regionale della Toscana, 2008, pp. 23-29. - Mannelli Goggioli 2009
Maria Mannelli Goggioli, Biblioteche pubbliche fiorentine nel Settecento. Con uno sguardo alla situazione nel Granducato, « Symbolae antiquariae», 2, 2009, pp. 61-82.
La Biblioteca Mediceo Palatina Lotaringia
Uno dei motivi che rendono così importanti le raccolte della Biblioteca Nazionale, per la conservazione e per la testimonianza del patrimonio della cultura scritta è costituito probabilmente dagli intrecci che nel corso dei secoli si sono creati fra coloro che hanno costituito questi nuclei librari – all’interno di un tessuto politico e civile che ne ha reso possibile lo sviluppo – e la crescita delle grandi biblioteche di manoscritti e successivamente di volumi a stampa. Nella Biblioteca Nazionale di Firenze convivono infatti, accanto alla originale Libreria pubblica magliabechiana, una serie di fondi (di provenienze pubblica e privata: la Biblioteca Palatina e i Fondi provenienti dalla soppressioni conventuali da un lato, dall’altro le biblioteche private delle famiglie nobili della città sopravvissute con le loro peculiarità all’interno di una realtà più grande) il cui interagire ha portato alla creazione della Biblioteca nazionale.
La prima Biblioteca Palatina costituisce un esempio di quanto detto. I Medici, infatti, dopo la costituzione della Biblioteca Laurenziana, avevano, negli anni, provveduto alle esigenze culturali e formative della corte, continuando a raccogliere manoscritti e libri, incrementati poi dai lasciti del cardinale Leopoldo protettore delle lettere e delle scienze e fondatore dell’Accademia del Cimento (la cui biblioteca confluirà nella Magliabechiana alla fine della dinastia dei Lorena) e successivamente dalla biblioteca del granduca Cosimo III, che ne aveva affidato la sistemazione e la cura ad Antonio Magliabechi.
Questi, spinto da una, veramente, insaziabile ricerca di accumulazione bibliografica, provvide, sia pure con fini e mezzi diversi, all’arricchimento parallelo delle due biblioteche, che divennero quindi l’una complementare dell’altra.
Prima della morte di Magliabechi furono unite alla Palatina (cioè alla biblioteca del palazzo) le raccolte del cardinale Francesco Maria e del principe Ferdinando, che la resero sempre più degna dell’apprezzamento del grande erudito Bernard de Montfaucon che l’aveva visitata durante il suo soggiorno a Firenze. Estintasi la dinastia Medicea e morto il Magliabechi, la Biblioteca passò – con tutto il resto del patrimonio fiorentino – ai Lorena, nuovi granduchi di Toscana, secondo le modalità di tutela volute dalla Elettrice Palatina, ultima esponente della famiglia Medici.
Francesco Stefano, pur non avendo quasi mai abitato nel Granducato, mantenne l’interesse dei precedenti granduchi per il patrimonio culturale della città. Cominciò portando a Firenze la propria personale raccolta libraria e sovvenendo con continuità le Biblioteche Magliabechiana e Marucelliana, aperte al pubblico rispettivamente nel 1747 e nel 1752. Poco prima della sua morte, nel 1765, rese pubblica la sua biblioteca personale, ammettendo il pubblico a Palazzo Pitti. L’operazione ebbe però una scarsa risposta da parte dei fiorentini che, per ragioni diverse, non utilizzarono con continuità la biblioteca del palazzo. Il successore di Francesco Stefano, il figlio Pietro Leopoldo, per questo motivo e anche per la mancanza di spazio che si era creata nell’ala del palazzo dove era ubicata la biblioteca e destinata ad abitazione del principe, decise nel 1771 di riunire la Biblioteca Mediceo Palatina Lotaringia alla Magliabechiana. Alcuni codici, per la precisione 568, andarono alla Biblioteca Laurenziana, 139 alla Segreteria delle Riformazioni, 136 all’Accademia delle scienze filosofiche e 98 rimasero presso il Granduca.
Che l’operazione avesse la necessità di essere compiuta velocemente per lasciare libere le stanze occupate è testimoniato da una lettera del direttore del Dipartimento delle finanze, Angelo Tavanti, al bibliotecario della Magliabechiana Giovanni Targioni Tozzetti. In essa si invita a evacuare “con tutta la sollecitudine la stanza del Palazzo dei Pitti” senza preoccuparsi di fare il catalogo del contenuto. Contemporaneamente dai documenti risulta con evidenza che la dotazione economica e lo spazio a disposizione della Magliabechiana erano pochi, anche se alla biblioteca erano state aggiunte alcune nuove stanze che dovevano ospitare la nuova raccolta – “i libri regi”-, cinque stanze in fila, vicino alle raccolte dei manoscritti e ai libri a stampa di particolare pregio. Il Targioni si preoccupò di sistemare al meglio, con i pochi soldi che aveva a disposizione, i nuovi volumi, ricollocandoli in modo da recuperare per quanto possibile il vecchio ordinamento e quindi il vecchio catalogo, compilato dal sottobibliotecario della Palatina Gaspare Menabuoni . Il bibliotecario, con l’aiuto del sottobibliotecario Ferdinando Fossi, cominciò rapidamente l’esame del fondo per poter scegliere i duplicati, preoccupandosi anche di conservarli se esemplari di particolare pregio sia per l’edizione che per la legatura o la decorazione. Per Targioni quindi il concetto di esemplare aveva già assunto il significato che ha acquistato nella moderna bibliologia: “sapendo di quanta importanza sia per gli studiosi , il trovar raccolto in una pubblica biblioteca il maggior numero che si possa di varie edizioni…”. In realtà egli, secondo le disposizioni granducali, dovette consegnare la maggior parte dei doppi alla Biblioteca dell’Università di Pisa o destinarli alla vendita, alienandoli con l’apposizione di un timbro MD (magliabechiani doppi) che ha costituito uno dei filoni di acquisto della attuale Biblioteca Nazionale. I primi libri ad arrivare agli Uffizi furono le 4725 opere a stampa della biblioteca Lotaringia, quindi le opere a stampa e i 588 manoscritti della Palatina Medicea, per un totale di 11942 opere a stampa e 588 manoscritti. Su richiesta di Targioni arrivò infine un ritratto di Pietro Leopoldo, da collocare nella prima stanza “con sotto un’iscrizione allusiva alla sua munificenza a pro degli studiosi” (Fava 1935¹; Rotondi 1971; Mannelli Goggioli 1995).
Una parte dei benefici concessi dal granduca vennero meno nel 1783, quando la Magliabechiana dovette cedere alla Biblioteca Laurenziana i manoscritti palatini più antichi e il famoso codice musicale Squarcialupi, come risulta dal catalogo manoscritto conservato nella classe decima del fondo Magliabechiano, nel quale risultano segnati dalla lettera L i codici destinati alla Laurenziana. La Biblioteca in compenso si arricchì di un numero notevole di opere a stampa, fra cui molti incunaboli e cinquecentine, importanti sia per le edizioni, che per le legature provenienti dalla biblioteca Laurenziana.
Bibliografia:
- Fava 1935¹
- Domenico Fava, Due biblioteche auliche nella Nazionale centrale di Firenze, «Accademie e biblioteche d’Italia», 9, 1935, pp. 448-474.
- Mannelli Goggioli 1995Maria Mannelli Goggioli, La Biblioteca Palatina mediceo lotaringia ed il suo catalogo, «Culture del testo», I , 1995, 3, pp. 135-159.
- Rotondi 1971Clementina Rotondi, L’unione della Biblioteca medicea-palatina-lotaringica alla Magliabechiana (1771), <<Almanacco dei bibliotecari italiani>>, 1971, pp.126-132.
Le Soppressioni conventuali
Una sintesi delle diverse ondate di soppressioni delle biblioteche conventuali, avvenute in Toscana nei secoli XVIII e XIX, consente di illustrare l’incremento apportato alla complessa stratificazione delle raccolte di manoscritti e di libri antichi a stampa conservate nella BNCF dai beni librari incamerati.
Le soppressioni di enti religiosi possono essere considerate uno dei principali strumenti utilizzati dal granduca Pietro Leopoldo nella sua complessa politica ecclesiastica il cui fine era di contenere le ingerenze della Chiesa negli affari dello Stato e di ridurre il clero regolare, che faceva capo a Roma, in favore di quello secolare. Il programma di Pietro Leopoldo, esposto nelle Relazioni sul governo della Toscana (1786), “aveva portato alla soppressione dei conventi giudicati inutili sul piano sociale” (Biagianti 1985) al fine di potenziare il ministero religioso e sociale dei parroci. Il primo provvedimento fu la soppressione della Compagnia di Gesù, avvenuta in Toscana con il decreto granducale del 28 agosto 1773 emanato a seguito della bolla di Clemente XIV del 21 luglio 1773. Considerato che il convento di San Giovannino fu affidato ai Padri Scolopi, che vi portarono la loro biblioteca, i libri dei Gesuiti furono messi in vendita, ma fu data la possibilità ai bibliotecari della Magliabechiana di estrarre quanto considerato utile per l’Istituto. I manoscritti provenienti dalla Biblioteca dei Gesuiti sono oggi conservati in parte nelle classi del Magliabechiano e in parte nel Fondo Nazionale, mentre i libri a stampa sono conservati nel Fondo Magliabechiano. Le soppressioni volute da Pietro Leopoldo proseguirono nell’ottica di razionalizzare la rete monastica eliminando le comunità più piccole e orientando i religiosi verso una disciplina più rigorosa e verso compiti socialmente utili. Sebbene mancasse in Toscana una direttiva generale per la distribuzione del patrimonio librario proveniente dalle biblioteche conventuali, grazie alle richieste di personaggi come il bibliotecario Ferdinando Fossi (DBI v.49), la Biblioteca Magliabechiana ricevette molte opere provenienti dalla soppressione di alcuni conventi tra i quali i Teatini dei Santi Michele e Gaetano (1785) e altri provenienti da tutto il Granducato.
L’annessione della Toscana all’impero napoleonico, avvenuta il 10 dicembre 1807, e la conseguente organizzazione del territorio in 3 dipartimenti (dell’Arno, con capoluogo Firenze, dell’Ombrone, con capoluogo Siena, e del Mediterraneo, con capoluogo Livorno) costituì una svolta anche nelle politiche relative agli ordini religiosi. Dopo una fase intermedia in cui il nuovo governo rilevò lo stato di consistenza dei patrimoni e delle entrate degli istituti religiosi, il decreto imperiale del 24 marzo 1808, con le ordinanze del 16 e 29 aprile 1808, sancì le soppressioni di abbazie, conventi e monasteri maschili e femminili. I beni dei conventi soppressi e di quelli mantenuti provvisoriamente furono inglobati nel patrimonio statale e furono affidati ai diversi dipartimenti. La necessità di dover procedere ad un riscontro tra l’inventario compilato qualche mese prima e la reale consistenza del patrimonio dei singoli conventi suggerì l’istituzione di una Commissione con l’incarico di selezionare gli oggetti più preziosi e di inventariarli, in attesa di farli trasportare nel deposito del convento di San Jacopo Oltr’Arno, dove furono raccolti tutti i libri. Tale commissione fu istituita con un decreto della Giunta di Toscana del 6 ottobre 1808, che è il primo provvedimento in Toscana a riconoscere la tutela del patrimonio librario come per le collezioni artistiche. Il presidente della Commissione, Tommaso Puccini, già segretario dell’Accademia di belle arti e direttore delle Regie Gallerie, fece compilare un catalogo di libri e manoscritti provenienti dagli istituti ecclesiastici e poi assegnati alle varie biblioteche fiorentine, tra cui la Magliabechiana. I libri selezionati furono contrassegnati dal timbro della Commissione in cui è raffigurata un’aquila bianca su fondo nero con una corona circolare e l’indicazione “Conservazione degli oggetti di arti e scienze”. Successivamente (1810-1812) fu redatto un inventario di oltre ventiduemila volumi provenienti dalle biblioteche conventuali e depositati presso la biblioteca del convento di San Marco. In questo caso i volumi non furono contrassegnati dal timbro della Commissione, ma sulla carta di guardia anteriore fu indicata la provenienza e il numero d’inventario progressivo che figura nell’Indice Generale oggi conservato presso la Biblioteca dell’Accademia di Belle Arti. Infine a seguito della Restaurazione il granduca di Toscana Ferdinando III stabilì il ripristino di parte degli ordini e delle congregazioni religiose e furono parzialmente restituiti libri di interesse religioso. I manoscritti provenienti dalle soppressioni leopoldine furono sistemati nel Fondo per classi della Magliabechiana e nel cosiddetto Fondo Nazionale, mentre i manoscritti confiscati a seguito delle soppressioni francesi costituirono il nucleo originario del Fondo Conventi Soppressi (Rossi 1998 e 2000)
Risalgono all’Unità d’Italia le 2 leggi (n. 3036 del 7 luglio 1866 e n. 3848 del 15 agosto 1867) con le quali furono privati del riconoscimento dello Stato tutti gli ordini religiosi con conseguente destinazione ad uso pubblico dei libri e dei manoscritti degli enti soppressi. I fondi manoscritti incamerati dalla Biblioteca in questa occasione furono inseriti nel Fondo Conventi Soppressi da ordinare. Per i volumi a stampa si segnala che il grosso nucleo proveniente dal convento di San Filippo Neri andò a costituire il Fondo Filippini.
Bibliografia:
L’Unione con la Biblioteca Palatina
La Biblioteca dei Lorena che fu unita alla Magliabechiana col Regio Decreto del 22 dicembre 1861, a firma di Francesco De Sanctis, consisteva in 86.761 volumi, 15.748 opuscoli e 3.165 manoscritti (FAVA 1935¹ e 1939); se consideriamo che meno di un secolo prima, nel 1771, la reggia si era svuotata quasi completamente di libri, ceduti alla Magliabechiana ed ad altri istituti toscani da Pietro Leopoldo, si può rimaner sorpresi per la rapida formazione di una così consistente raccolta.
Ma se ai meri numeri aggiungiamo la considerazione che la biblioteca di Palazzo Pitti era veramente strepitosa per i tesori che conteneva (la raccolta Poggiali di testi di lingua serviti per la redazione del Vocabolario della Crusca, i manoscritti galileiani e dell’Accademia del Cimento, grandi corpi di archeologia e di storia antica, gli autografi collezionati dalla famiglia Gonnelli…) non possiamo che rimaner ammirati e grati alla storia se questo patrimonio è stato reso pubblico. Certo, questa seconda cessione alla Magliabechiana della biblioteca granducale si svolse senza il consenso del sovrano, anzi ne seguì un lungo contenzioso con lo Stato italiano (ROTONDI 1967); ma rimane il fatto che la Libreria pubblica fiorentina è stata per due volte debitrice verso i Lorena dei suoi più significativi accrescimenti. Proprio in virtù di questa seconda unione non si poteva più chiamare “solo” Magliabechiana: con l’improvvisa dotazione che concludeva in bellezza il suo secolare destino di collettore di biblioteche piccole e grandi, private e conventuali, l’istituto con il suo aumentato patrimonio veniva a rappresentare la cultura italiana in una completezza e preziosità che non aveva riscontro in nessun’altra biblioteca del Paese, tanto da meritare la denominazione di Biblioteca della Nazione appena unita.
Possiamo qui ripercorrere solo brevemente le vicende che hanno portato alla formazione della seconda Palatina. Dopo il trasferimento alla Magliabechiana della biblioteca che aveva trovato a palazzo Pitti – non ritenendola, correttamente, di sua proprietà e destinandola ad uso pubblico – , Pietro Leopoldo provvide subito alla costituzione di una sua raccolta privata, ad uso proprio, della consorte Maria Luisa e della numerosa prole; rimane testimonianza di questo primo nucleo nel catalogo a stampa del 1771 (CATALOGUE 1771), di cui possiediamo la copia appartenuta al granduca stesso, preziosa per le note di pugno del sovrano e del segretario (CHIMIRRI 1999, PASTA 2003). E’ ragionevole supporre che la biblioteca di famiglia sia cresciuta nel venticinquennio in cui Pietro Leopoldo regnò in Toscana ma non abbiamo notizie precise sull’entità della raccolta che il figlio Ferdinando ereditò assieme al Granducato quando il padre nel 1790 fu chiamato a Vienna sul trono imperiale. Ai timbri di possesso dei genitori (“PL” e “ML”) il nuovo granduca aggiunse il proprio monogramma, “FAGDT”, la cui interpretazione più probabile risulta” Ferdinando [d’] Austria Gran Duca [di] Toscana” (MANNELLI GOGGIOLI 1995). Se il padre sembra aver costituito una raccolta propedeutica al governo e all’educazione dei figli, Ferdinando dette ben presto prova, piuttosto, di una propensione agli studi e al collezionismo librario per suo diletto personale che lo portò a raccogliere una biblioteca notevole che volle con sé anche nell’esilio (sembra che i francesi gliela abbiamo spedita a Wurzburg, su sua richiesta) e che ebbe modo di ampliare durante il suo peregrinare tra Germania e Francia, tanto che al suo ritorno in Toscana nel 1814 la biblioteca ricollocata a Pitti era ormai notevole. Coltivò a Firenze con maggior slancio la sua passione: sarebbe troppo lungo – ed è stato fatto da altri più volte (GENTILE 1889, FAVA 1935¹ e 1939) – fare l’elenco completo dei tesori che con lungimiranza e consistente dispendio di denari seppe accaparrarsi: citiamo solo la collezione Elzeviriana, la raccolta completa dei suoi prediletti autori classici, le inestimabili raccolte private che comprando salvò da una sicura dispersione. Sia detto qui per inciso che anche i precedenti granduchi lorenesi avevano fatto simili acquisti ma al preciso scopo di farne dono alla Magliabechiana e sollevarla in questo modo dalle ristrettezze in cui versava, mentre il XIX secolo segnò un periodo di grande decadenza per la biblioteca pubblica, non in grado di far fronte ad adeguati acquisti e aggiornamenti.
Anche Leopoldo II seguì le orme del padre quanto a febbre del collezionismo, pur lasciandone ad altri la cura, servendosi di valenti bibliotecari, in particolare di Giuseppe Molini (DBI, v. 75 ), a cui si devono alcuni degli acquisti più preziosi nelle aste di tutt’Europa. Sono entrate in questo periodo le splendide collezioni di viaggi e scienze naturali, archeologia e storia antica, oltre a rarità bibliografiche di testi italiani.
Tra i successivi bibliotecari dobbiamo ricordare Francesco Palermo, non solo perché sotto di lui furono acquistati la raccolta scientifica dei Targioni Tozzetti, gli autografi raccolti dalla famiglia Gonnelli, i manoscritti De Sinner con gli studi del Leopardi, i codici panciatichiani, ma anche perché dette un nuovo ordinamento ai libri della Palatina, che fino ad allora erano divisi e collocati per materie, com’era costume nelle biblioteche sei-settecentesche, con cataloghi e collocazioni che rispecchiavano questo sistema (ROSSI 1996). Palermo attribuì una nuova segnatura ai volumi, indicando semplicemente il luogo dove si trovavano, cioè la stanza, lo scaffale, il palchetto e il libro, con una simbologia fatta di lettere e numeri; la nuova collocazione fu apposta nel catalogo già esistente, accanto alla precedente per classi. Questa è la segnatura ancora in uso per i libri a stampa della Palatina, nonostante che dopo il loro trasporto nella Magliabechiana non vi sia più alcuna corrispondenza con il luogo fisico in cui si trovano. Il bibliotecario palatino però non rinunciò ad elaborare delle sue teorie classificatorie che illustrò dandole alle stampe (PALERMO 1854) ed iniziò inoltre a compilare il catalogo dei manoscritti (PALERMO 1853). La sua opera fu interrotta dall’esito del plebiscito del 1859 e dal conseguente esilio dell’ultimo dei Lorena.
Malgrado l’unione nel 1861, i due fondi storici della Biblioteca Nazionale non si sono mai veramente fusi: sistemati in magazzini diversi, conservarono le loro proprie segnature, i loro separati cataloghi. E ancora oggi è così. Ma quel che conta è che i due nuclei della Biblioteca risultano bibliograficamente complementari: il prezioso apporto della Palatina permise di colmare le lacune che in campo di editoria moderna e straniera avevano afflitto negli ultimi tempi la Biblioteca Magliabechiana, penalizzata da una cronica mancanza di fondi per acquisti. Sotto questo aspetto, non andrà troppo meglio alla neonata Biblioteca Nazionale; ma qui inizia un’altra storia.
Bibliografia:
- Catalogue 1771
Catalogue des livres du cabinet particulier de LL.AA.RR., Florence, de l’Imprimerie
granducale, 1771. - Chimirri 1999
Lucia Chimirri, Le letture di Pietro Leopoldo, «Biblioteche oggi», dicembre, 1999, pp. 42-45. - Fava 1935¹
Domenico Fava, Due biblioteche auliche nella Nazionale centrale di Firenze, «Accademie e biblioteche d’Italia», 9, 1935, pp. 448-474. - Fava 1939
Domenico Fava, La Biblioteca nazionale centrale di Firenze e le sue insigni
Raccolte, Milano, Hoepli, 1939. - Gentile 1889
Luigi Gentile, I codici palatini della R. Biblioteca nazionale centrale di Firenze, I, Roma, Ministero della Pubblica Istruzione, 1889. - Mannelli Goggioli 1995
Maria Mannelli Goggioli, La Biblioteca Palatina mediceo lotaringia ed il suo catalogo, «Culture del testo», I , 1995, 3, pp. 135-159. - Palermo 1853
Francesco Palermo, I manoscritti palatini di Firenze, Firenze, I. e R. Biblioteca Palatina, 1853-1868. - Palermo 1854
Francesco Palermo, Classazione dei libri a stampa dell’I. e R. Palatina in corrispondenza di un nuovo ordinamento dello scibile umano, Firenze, dall’I. e R. Biblioteca Palatina, 1854. - Pasta 2003
Renato Pasta, La biblioteca aulica e le lettura dei principi lorenesi, in Vivere a Pitti. Una reggia dai Medici ai Savoia, Firenze, Olschki, 2003, pp.351-387. - Rossi 1996
Mariaelise Rossi, Bibliofilia, bibliografia e biblioteconomia alla Corte dei granduchi di Toscana Ferdinando III e Leopoldo II, Roma, Vecchiarelli, 1996. - Rotondi 1967
Clementina Rotondi, La Biblioteca nazionale di Firenze dal 1861 al 1870, Firenze, AIB Sezione Toscana, 1967.
Le Raccolte librarie scientifiche della Palatina
Per quanto riguarda le raccolte librarie scientifiche il secolo XIX segna per la biblioteca un incremento straordinario sia per le nuove acquisizioni sia per l’organizzazione del già posseduto. Se da una parte si verifica una serie di circostanze che fanno confluire nella biblioteca materiale non strettamente umanistico e letterario, va detto che il periodo a cui ci si riferisce è percorso da una forte spinta di pensiero positivista che incrementa lo studio della scienza e delle sue fonti. I casi più significativi di questa impronta culturale sono costituiti dalle acquisizioni del fondo Galileiano e della raccolta Targioni Tozzetti.
Nel 1818 il Granduca Ferdinando III acquista dagli eredi Nelli le carte galileiane provenienti dall’appassionato lavoro di raccolta dell’avo Giovanni Battista Clemente; si può dire che il Nelli, autore di una celebre biografia di Galileo, abbia dedicato la sua vita al recupero di qualunque documento, manoscritto e testimonianza appartenuti a Galileo, con il risultato di tornare a riunire ciò che degli scritti galileiani era andato in gran parte disperso nei passaggi al Viviani, suo esecutore testamentario, e poi ai Panzanini.
Le carte galileiane acquistate dal Granduca vengono da lui stesso donate nel 1822 alla biblioteca Palatina, che si arricchisce così di una delle più importanti fonti documentaristiche per la storia della scienza, non solo per la imponente mole degli autografi e documenti che vi sono raccolti, ma anche per l’organicità dei pur molteplici argomenti contemplati. Nel 1886 la raccolta verrà poi arricchita dalla donazione da parte di Antonio Favaro di un gruppo di 40 filze che, aggiungendosi ai preesistenti codici, prenderà il nome di “Appendice Favaro” e porterà a 340 il numero dei manoscritti componenti la raccolta.
Al loro ingresso nella Palatina le carte Galileiane furono prese in consegna dal bibliotecario Francesco Tassi, coadiuvato dalla stessa consorte del Granduca lorenese Maria Luisa di Napoli, personalmente interessata alla cultura e alla scienza. Importante acquisizione quindi, ma altrettanto importante il lavoro di ordinamento che ne seguì nel proseguo del secolo, volto all’organizzazione di quelle che si presentavano come carte sciolte secondo un assetto logico e concettuale, rimasto in essere fino ai giorni nostri, che permettesse la fruizione dei documenti.
Questa sistemazione si deve a due grandi storici della scienza: a Vincenzo Antinori (1792-1865; DBI v. 3), fervente studioso di Galileo in quel periodo della restaurazione in Toscana che si caratterizzò per particolare vivacità di studi, e successivamente a Antonio Favaro (1847-1922; DBI v. 45), che sul corpus già ordinato dall’Antinori condusse un’ulteriore opera di riorganizzazione tuttora in essere, destinata a costituire l’impalcatura dell’Edizione Nazionale delle opere di Galileo, insuperato lavoro editoriale e punto di riferimento imprescindibile per qualunque studio sui testi galileiani. Inoltre il Favaro compie un’operazione analoga a quella del Nelli un secolo prima: sulla base dei documenti notarili dell’eredità Galileo, egli ricostruisce la biblioteca dei testi a stampa appartenuta allo scienziato, e con alacre e paziente lavoro di ricerca riesce a rintracciare alcuni, importanti volumi a stampa postillato dallo stesso Galileo, recuperati alla biblioteca soprattutto negli ultimi decenni dell’800 e adesso visibili on-line.
Nel frattempo, dal1851 e progressivamente negli anni successivi, la biblioteca Palatina si arricchisce di un’altra fondamentale raccolta scientifica, proveniente per donazione e acquisto dalla famiglia Targioni Tozzetti, composta sia da pubblicazioni a stampa che da manoscritti. L’insieme del fondo rappresenta la maggiore testimonianza dello sviluppo della scienza nella Toscana post-Galileiana. Le carte della famiglia Targioni sono il frutto delle attività professionali e dagli interessi scientifici dei suoi componenti: Giovanni, Ottaviano, Antonio, medici, naturalisti, chimici. Nella Toscana che sviluppa fra 700 e 800 un forte legame fra cultura e istituzioni, i Targioni Tozzetti ricoprono da una generazione all’altra importanti cariche pubbliche in qualità di archiatri, direttori di biblioteca, direttori dell’orto botanico, professori nello studio fiorentino. Dalla omogeneità degli interessi familiari, spiccano le peculiarità dei singoli membri, primo fra tutti in ordine di importanza Giovanni (1712-1783), le cui carte riflettono i molti interessi e le molteplici mansioni di medico, di direttore dell’orto botanico, di ufficiale sanitario. Il figlio Ottaviano (1755-1829) fu fisico presso l’Ospedale di Santa Maria Nova, membro dell’ Accademia dei Georgofili, direttore dell’orto botanico. Il nipote Antonio (1785-1856) rivestì le cattedre di chimica, botanica e medicina. Adolfo (1823-1902) fu zoologo e fondatore della Stazione di entomologia agraria in Firenze.
All’interno dell’ingente corpus di manoscritti si trovano carte dei Targioni Tozzetti, ma anche di altri personaggi loro vicini a vario titolo; gli scritti botanici di Pier Antonio Micheli, maestro di Giovanni, i manoscritti di Agostino del Riccio e di altri scienziati fiorentini. Accanto al prevalente materiale scientifico sono presenti nel fondo anche le tante testimonianze del vasto orizzonte della poliedrica cultura dell’epoca, come opuscoli di storia letteraria, memorie di viaggi, raccolte di rime e autografi di uomini illustri di vari paesi ed epoche. Notevole l’immenso carteggio, soprattutto quello di Ottaviano, che testimonia lo strettissimo legame fra i Targioni e gli scienziati di tutta Italia e d’Europa.